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Avete mai visto un aspirante pizzaiolo saltellare con acido fervore su una doppia fila di tasti bianchi e neri incastonati nel legno?
A me è successo. E diverse volte, per la verità.
E’ stato nelle occasioni in cui ho avuto la fortuna di vedere dal vivo una band strepitosa, dal cuore funk, protagonista della scena acid-jazz britannica degli anni 90: the James Taylor Quartet.
Il nome del gruppo è quello del suo fondatore, nonché organista, e, a parte l’evidente omonimia, nulla ha a che vedere con il noto cantautore statunitense James Taylor.
Questo James Taylor fa ai tasti del suo glorioso hammond quello che James Bond fa alle donne: li scalda e li suona che è un piacere.
La differenza è che nel farlo gesticola e muove le braccia come se stesse preparando una diavola o una quattrostagioni. E invece strappa fuori dal suo organo legnoso un’ondata di note che si incastrano a meraviglia con il ritmo forsennato e gustosamente lisergico degli altri talentuosi musicisti.
Il risultato è un funky-jazz pregevolissimo, unito ad un ebbro entusiasmo che dal palco si riversa sul pubblico con un effetto letteralmente trascinante.
Vi risparmio le note biografiche e discografiche della band, che, se interessati, potete tranquillamente reperire ovunque nella rete.
Vi basti, solo come curiosità e segno distintivo, che il loro secondo album è stato concepito come la colonna sonora di un film di spionaggio immaginario.
Se però anche voi fate parte della affollata fascia degli oltrentenni, non potete perdervi questo brano, che è la rivisitazione musicale di un vero e proprio pezzo di storia.
meditato da Mr SeeRed
16-10-2013
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